Classici da (ri)leggere | Il barone rampante di Italo Calvino

baroneCosimo di Rondò, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo a Ombrosa, per sfuggire a una punizione inflittagli dai suoi educatori, decide di salire su un albero per non ridiscendere mai più. Si costruisce così un mondo aereo dove diversi personaggi della cultura e della politica (Napoleone compreso) lo vanno a trovare, testimoniandogli la loro ammirazione.

Incipit

Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave.

A capotavola era il Barone Arminio Piovasco di Rondò, nostro padre, con la parrucca lunga sulle orecchie alla Luigi XIV, fuori tempo come tante cose sue. Tra me e mio fratello sedeva l’Abate Fauchelafleur, elemosiniere della nostra famiglia e aio di noi ragazzi. Di fronte avevamo la Generalessa Corradina di Rondò, nostra madre, e nostra sorella Battista, che, vestita tutta in nero, tranne la cuffietta bianca, sembrava una monaca. All’altro capo della tavola, rimpetto a nostro padre, sedeva vestito alla turca, il Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega, amministratore dei nostri poderi, e, per vie che ci rimasero sempre misteriose, parente stretto della nostra famiglia.


 

“Per decidere se comprare un libro, aprilo a pagina 69″ (McLuhan)

- Lo vedi ancora? – le chiedeva dal giardino nostro padre, che andava avanti e indietro sotto gli alberi e non riusciva a scorgere mai Cosimo, se non quando l’aveva proprio sulla testa. La Generalessa faceva cenno di sì e insieme di star zitti, che non la disturbassimo, come seguisse movimenti di truppe su una altura. Era chiaro che a volte non lo vedeva per nulla, ma s’era fatta l’idea, chissà perché, che dovesse rispuntare in quel dato posto e non altrove, e ci teneva puntato il cannocchiale. Ogni tanto tra sé e sé doveva pur ammettere d’essersi sbagliata, e allora staccava l’occhio dalla lente e si metteva a esaminare una mappa catastale che teneva aperta sulle ginocchia, con una mano ferma sulla bocca in atteggiamento pensoso e l’altra che seguiva i geroglifici della carta finché non stabiliva il punto in cui suo figlio doveva esser giunto, e, calcolata l’angolazione puntava il cannocchiale su una qualsiasi cima d’albero in quel mare di foglie metteva lentamente a fuoco le lenti, e da come le appariva sulle labbra un trepido sorriso capivamo che l’aveva visto, che lui era lì davvero!

Allora, ella poneva mano a certe bandierine colorate che aveva accanto allo sgabello, e ne sventolava una e poi l’altra con movimenti decisi, ritmati, come messaggi in un linguaggio convenzionale.

 

[Il barone rampante, Italo Calvino, Garzanti]