“Un viaggio nella notte della vita”, così l’editore Hacca definisce le poco più di cento pagine di Viaggio nella notte di Massimiliano Santarossa. E come tale questo romanzo va affrontato, perché in esso il lettore potrà trovare più sagome che personaggi, più riflessi che luci, più sensazioni che certezze. Proprio come quando si cammina lungo una strada sconosciuta, ma allo stesso tempo familiare, immersi nell’oscurità.
Un operaio, un trentenne qualunque costretto alla schiavitù contemporanea di una fabbrica qualunque in una provincia italiana qualunque (nonostante il riferimento alla realtà del nordest italiano, l’universalità del dolore è caratteristica centrale di questo romanzo). Massimiliano Santarossa sceglie di raccontarci questa storia a un passo dalla fine: l’ultima giornata, quella in cui il protagonista sceglierà la morte come unica liberazione possibile, perché per porre fine alla schiavitù si può solamente porre fine all’esistenza.
Sono catene invisibili quelle che lo trascinano in fabbrica a soli quattordici anni, costringendolo a intraprendere una vita senza scelte, senza sbocchi, senza soddisfazioni. Una vita che si ripete uguale a se stessa attraverso i giorni e attraverso le generazioni, dove tutto è finalizzato e ricondotto alla produzione e al consumo, dal corpo che subisce l’usura del lavoro, trasformando la pelle morbida di bambino in quella ruvida di schiavo, al cibo comprato in vaschetta al discount, il pasto dell’operaio, ai due minuti di pausa ogni ora per pisciare e sei minuti a metà turno per cagare che il padrone concede.
Seguiamo i passi di questo uomo che va incontro alla morte, attraverso i “suoi” luoghi, in una periferia fatta di cubicoli claustrofobici tutti uguali in cui altri schiavi si rintanano aspettando il susseguirsi dei giorni, nella strada scura e oleosa che conduce alla balena quadrata e grigia, il mostro che inghiotte la forza e il tempo dell’operaio, il casermone della fabbrica, dove tagliare montagne di plastica bianca per dare a voi muri più caldi, più silenziosi, muri che vi contengono. Perché la schiavitù non è soltanto la sua, anche il padrone è a sua volta schiavo, e ogni esistenza necessita di essere contenuta dal potere che la controlla e la ingloba.
Sul palcoscenico di Viaggio nella notte fanno la loro comparsa, come per salutare un pubblico che non li applaudirà, altri personaggi ai margini: l’anziana vedova inghiottita dalle luci di un videopoker, la donna corpo schiavo della cassa che le ha rubato la bellezza e la voglia di vivere, gli amici morti nella consolazione della droga, la prostituta che vende le proprie carezze a esseri cui non è concessa la pietà di nessun’altra tenerezza.
Il viaggio allucinato dalle droghe, consolazione e coraggio nel cammino verso la fine, di questo uomo senza volto e senza nome ha i toni di una preghiera bestemmiata verso un cielo che ricopre tutto rimanendo impenetrabile, verso dio, cristo, la madonna e tutti gli angeli neri del firmamento, un dio inseguito nella speranza di una salvezza che non esiste. Un dio indifferente e lontano che guarda l’ultimo dei suoi figli annientarsi e scomparire.
Un romanzo crudo e poetico quello di Massimiliano Santarossa, pieno di fango, sporcizia e dolore, che catapulta il lettore in una dimensione apparentemente aliena e futuribile, lasciandolo ad ogni pagina con l’amara sensazione che quello di cui sta leggendo si trova esattamente dietro la porta, nella realtà di una crisi che non si vuole vedere ma già radicalmente presente prima che la si volesse nominare.